Donne oggetto per uteri in affitto
Donne oggetto per uteri in affitto
Bisognerebbe che uno studio di avvocati prendesse a cuore la loro causa. Vittime del non allattamento. Sembra un’esagerazione. Eppure. Prendiamo il figlio di Elton John. Figlio di utero in affitto. La sua storia ce l’ha raccontata Mario Adinolfi commentando la storica decisione della Corte Suprema americana: abrogata la legge che definisce il matrimonio un’unione fondata su un uomo e su una donna. Nel suo blog (http://marioadinolfi.ilcannocchiale.it/) Adinolfi ricorda un fatto di cronaca. Elton Jhon, con il suo compagno, servendosi di una donatrice (a pagamento) di utero, si “procura” un bambino. Nasce Zac, che viene subito strappato dal ventre della mamma “affittata”. E con essa addio latte materno. I due papà gli danno il biberon con il latte in polvere. Ma il piccolo piange per un anno intero. Tanto che Elton John dopo un po’ decide di ricorrere a un tiralatte per usare il nutrimento della madre biologica.
La storia è istruttiva perché fa luce su un aspetto poco o per nulla discusso. Un dettaglio, rispetto alle questioni implicate nei matrimoni gay. E forse nemmeno il più importante. Ma pure decisivo. Qualunque madre sa quanto sia importante l’allattamento. I pediatri insistono perché chi può allatti il proprio figlio il più a lungo possibile. Perché il beneficio per lui (oltre che per la madre) è inestimabile: non solo dal punto di vista fisico (il latte materno protegge da allergie, virus, batteri, è ricco di proprietà nutritive come nessun cibo), ma anche dal punto di vista psicologico. L’esperienza che si crea tra la madre e il bambino nell’allattamento è, infatti, preziosissima per lo sviluppo affettivo e cognitivo del piccolo: instaura un legame che rafforza la sua fiducia nel mondo.
Nei casi dei bambini nati da uteri in affitto questo regalo inestimabile della natura viene tolto. Passi la madre, che appaltando il proprio utero scientemente rinuncia a questa esperienza. Il fatto è che si costringe anche il figlio a rinunciarci. Non solo lo si priva del genitore che lo ha portato in grembo, ma perfino dell’alimento più completo di cui potrebbe disporre. E gli si nega un’esperienza che gli avrebbe procurato felicità. Gli si sottrae quello che, per natura, è un suo “diritto”, come diremmo oggi. Il primo che abbiamo appena venuti al mondo. Gli si sottrae quel lembo di pelle, il suo odore, la sua consistenza, che per un bambino è sinonimo di sicurezza e di piacere. Cioè di vita.
Si dirà: molte mamme non possono allattare o rinunciano a farlo, pur potendo. E i bambini crescono bene lo stesso. Vero. Ma questo non toglie il fatto che l’allattamento sia di gran lunga preferibile e perciò consigliato.
Chi difenderà i bambini a cui viene sottratto il seno materno? Perché lo si può fare senza chiedere loro il permesso, semplicemente strappandoli dal luogo dove la natura li mette? Perché il diritto di Elton John e del suo compagno ad avere Zac vale più del diritto di Zac ad essere allattato dalla donna che lo ha portato in pancia per nove mesi, a nutrirsi del suo latte, a godersi una bella dormita sul suo seno, a succhiarne i capezzoli anche solo per calmarsi? Chi ha deciso che il loro, di diritto, vale più del suo?
Antigone
Bisognerebbe che uno studio di avvocati prendesse a cuore la loro causa. Vittime del non allattamento. Sembra un’esagerazione. Eppure. Prendiamo il figlio di Elton John. Figlio di utero in affitto. La sua storia ce l’ha raccontata Mario Adinolfi commentando la storica decisione della Corte Suprema americana: abrogata la legge che definisce il matrimonio un’unione fondata su un uomo e su una donna. Nel suo blog (http://marioadinolfi.ilcannocchiale.it/) Adinolfi ricorda un fatto di cronaca. Elton Jhon, con il suo compagno, servendosi di una donatrice (a pagamento) di utero, si “procura” un bambino. Nasce Zac, che viene subito strappato dal ventre della mamma “affittata”. E con essa addio latte materno. I due papà gli danno il biberon con il latte in polvere. Ma il piccolo piange per un anno intero. Tanto che Elton John dopo un po’ decide di ricorrere a un tiralatte per usare il nutrimento della madre biologica.
La storia è istruttiva perché fa luce su un aspetto poco o per nulla discusso. Un dettaglio, rispetto alle questioni implicate nei matrimoni gay. E forse nemmeno il più importante. Ma pure decisivo. Qualunque madre sa quanto sia importante l’allattamento. I pediatri insistono perché chi può allatti il proprio figlio il più a lungo possibile. Perché il beneficio per lui (oltre che per la madre) è inestimabile: non solo dal punto di vista fisico (il latte materno protegge da allergie, virus, batteri, è ricco di proprietà nutritive come nessun cibo), ma anche dal punto di vista psicologico. L’esperienza che si crea tra la madre e il bambino nell’allattamento è, infatti, preziosissima per lo sviluppo affettivo e cognitivo del piccolo: instaura un legame che rafforza la sua fiducia nel mondo.
Nei casi dei bambini nati da uteri in affitto questo regalo inestimabile della natura viene tolto. Passi la madre, che appaltando il proprio utero scientemente rinuncia a questa esperienza. Il fatto è che si costringe anche il figlio a rinunciarci. Non solo lo si priva del genitore che lo ha portato in grembo, ma perfino dell’alimento più completo di cui potrebbe disporre. E gli si nega un’esperienza che gli avrebbe procurato felicità. Gli si sottrae quello che, per natura, è un suo “diritto”, come diremmo oggi. Il primo che abbiamo appena venuti al mondo. Gli si sottrae quel lembo di pelle, il suo odore, la sua consistenza, che per un bambino è sinonimo di sicurezza e di piacere. Cioè di vita.
Si dirà: molte mamme non possono allattare o rinunciano a farlo, pur potendo. E i bambini crescono bene lo stesso. Vero. Ma questo non toglie il fatto che l’allattamento sia di gran lunga preferibile e perciò consigliato.
Chi difenderà i bambini a cui viene sottratto il seno materno? Perché lo si può fare senza chiedere loro il permesso, semplicemente strappandoli dal luogo dove la natura li mette? Perché il diritto di Elton John e del suo compagno ad avere Zac vale più del diritto di Zac ad essere allattato dalla donna che lo ha portato in pancia per nove mesi, a nutrirsi del suo latte, a godersi una bella dormita sul suo seno, a succhiarne i capezzoli anche solo per calmarsi? Chi ha deciso che il loro, di diritto, vale più del suo?
Antigone
'Figli' di genitiri gay
storie figli di gay brevemente tradotte: Anche questi ragazzi a detta delle famiglie arcobaleno avrebbero dovuto essere bambini felici … peccato che quello che raccontano loro medesimi non è la stessa cosa, vivono un disagio e una grande sofferenza: figlio di un padre gay e madre surrogata Il ragazzo si firma Manuel Half. Per proteggerlo ho tolto tutti i riferimenti al suo vero nome, la sua città, la sua lingua, o la sua nazione. Un giorno, ne sono certo, egli si farà avanti per parlare pubblicamente. Ma per ora, è vulnerabile e deve finire la scuola senza affrontare il contraccolpo dei militanti LGBT .... Manuel Half era alle prese con la sua dolorosa situazione in casa, provava profonda rabbia verso il padre omosessuale per averlo "acquistato", per la cancellazione del ruolo di sua madre, per l'esposizione dell'omosessualità in casa, che Manuel sente compromettere la sua mascolinità e causa di confusione in lui . Come spiega il suo manifesto, ha avuto un crollo, una notte e ha fatto una ricerca su internet sul suo computer, alla ricerca di informazioni su altri bambini in situazione di contratti omosessuali di maternità surrogata . ... http://englishmanif.blogspot.it/2013/11/la-joie-de-vivre-13-manifesto-of-manuel.html Figlio di genitori lesbiche trascorro la maggior parte del mio tempo a casa di amici. Io giro con il loro papà perchè non ne ho mai avuto uno e lui è fantastico. E' un po 'come Charlie di Twilight! Ho pianto quando ho letto di padre Bellas nei libri e in tutte le sue scene nei film. Sono l'unico che si sente in questo modo? Sono un cattivo figlio perché vorrei avere un papà? C'è qualcun altro che ha due mamme o due papà che si chiede che cosa sarebbe e come sarebbe se fossero nati in una famiglia normale? Esiste qualcuno che può utilizzare la parola normale senza ricevere una lezione su ciò che è normale??? Non so chi è il mio vero padre e non lo saprò mai. E 'strano ma mi manca. Mi manca questo uomo che non conoscerò mai. Inviato il: 17 luglio 2013 [dal donatore Concepito] http://anonymousus.org/stories/story.php?sid=1554#.UokzPxV_TL9
English Manif: La Joie de Vivre 1:3 -- The Manifesto of Manuel Half, son of a gay father and...
englishmanif.blogspot.it
http://englishmanif.blogspot.it/2013/11/la-joie-de-vivre-13-manifesto-of-manuel.html
English Manif: La Joie de Vivre 1:3 -- The Manifesto of Manuel Half, son of a gay father and...
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Educazione sessuale
“Abbiamo avuto educazione sessuale”
Il giornalista Luc Tesson immagina il piccolo Nicolas che racconta l’“ora di educazione sessuale”, dopo l’approvazione delle legge Taubira, fatta dalla sua maestra
Bouillon=Il sorvegliante
Mémé=Diminutivo di nonna in francese
PMA=Procreazione Medicalmente Assistita
GPA=Sigla di Gestazione Per Altri (utero in affitto)
A scuola, oggi, la maestra era tutta strana. Ci aspettava in classe facendo dei grandi sospiri, mentre, di solito, è sempre sorridente e fa dei grandi sospiri solo quando interroga Clotaire e Clotaire diventa tutto rosso.
Ha detto: “Bene!” Dato che M. Peillon , il ministro incaricato della nostra educazione, aveva deciso di puntare sulla gioventù per fare evolvere le mentalità, avremmo fatto un corso di educazione sessuale e che il primo che sghignazza andrà da Bouillon . Noi non avevamo per niente voglia di sghignazzare, perché Bouillon non è uno spiritoso.
La maestra ci ha guardato e ci ha detto che l’importante, nella vita, è di essere tolleranti. Noi siamo tolleranti un sacco, allora abbiamo fatto tutti sì e Agnan, che è il cocco della maestra e che si mette sempre davanti, ha detto che lui era il più tollerante di tutti visto che ad ogni modo è il primo della classe in tutte le materie tranne che in ginnastica. Eudes gli ha detto: “Fai poco il furbo, mio piccolo compagno, altrimenti vedrai come sono tollerante!”. E lì, credo che la maestra ha capito che non sarebbe stato facile, oggi.
È andata alla lavagna, ha aspettato che facessimo silenzio, e ha chiesto con un’espressione molto seria: “Bene … Allora … Se siete una femmina alzate la mano!” Tutte le femmine hanno alzato la mano, e anche Clotaire, che aveva l’aria annoiata. Ma la maestra ha detto così: “Molto bene Clotaire, è la tua scelta: se vuoi essere una femmina, sta a te deciderlo”. A quel punto, Clotaire, è diventato tutto rosso e ha detto: “No, Signora, è perché voglio andare a fare la pipì”. “Non andare dalle femmine!” ha detto Eudes ridendo. Ma la maestra ha sbattuto la mano sulla cattedra e ha detto che se Clotaire voleva andare nelle toilettes delle femmine, era una sua scelta, e che non c’era niente da ridere per questo. E che era la teoria di genere, e che bisognava che ognuno scegliesse, e ci ha fatto scrivere sui nostri quaderni: “Ciascuno è libero di scegliere il suo genere”.
“Però”, ha detto Rufus, “io ho un pisellino, e non deciderò che sono una femmina”. La maestra ha risposto che era dell’eterosessismo, e che bisognava farla finita con l’eterocrazia, e che se continuavamo così finiremo in galera, dato che siamo tutti omofobi. Ho guardato Agnan, e ho visto che anche lui non aveva capito niente.
Tutto diventava veramente complicato e avrei quasi preferito fare dell’aritmetica.
La maestra si è accorta che eravamo un po’ persi, allora ha provato a spiegare in maniera diversa: “Voi avete un corpo… sta a voi decidere di…” “Io ho una merenda, ma non ho un corpo!” ha detto Alceste. “Il mio corpo sono io!” Bisogna che vi dica che Alceste è un mio compagno, gli piace mangiare, mastica lentamente quasi tutto il giorno e ciò gli dona, sicuramente, il tempo di riflettere sulla vita. Spesso, quando fa a botte, sono io che gli tengo i suoi croissants e dopo me ne dà sempre un pezzo.
Un piccolo cerchio bianco sulla lavagna nera
“Bene”, ha detto la maestra, “continuo”. Noi abbiamo trovato strana la cosa, ma non abbiamo detto niente, perché delle volte è come se la maestra stia per piangere e noi non vogliamo darle dispiacere. Si è messa a fare un piccolo cerchio bianco sulla lavagna tutta nera, dicendo: “Questo è uno spermatozoo”. Mi ha chiesto di spiegare che cos’era. Mi è andata bene perché papà mi aveva spiegato la settimana scorsa la storia dei piccoli semi che il papà dona alla mamma… e questo dopo fa un bambino nella pancia della mamma e paf!, esce il bebè. Gli si fanno tante coccole e si chiama Mémé per avvisarla che è di nuovo nonna.
“Grazie Nicolas”, ha detto la maestra, “ricomincio la lezione. Sicuramente voi tutti pensate che una famiglia è un papà, una mamma e dei bambini. Ebbene, vi sono altri modelli e sarebbe molto retrogrado non accettarlo. E se due signori si amano, o due signore, non si vede cosa impedirebbe loro di sposarsi e di fare o adottare dei bebè.”
“Che fortuna!” ha detto Rufus. “Io voglio bene a Léanne et Chloé, allora mi sposerò con tutte e due nello stesso tempo, dato che ci amiamo”. Léanne ha detto che non era d’accordo per niente e Chloé ha detto che comunque lei sposerà il suo papà e, dato che due signori che si amano si possono sposare, potrebbe sicuramente sposarsi con il suo papà, perché ama tantissimo il suo papà. “Sì, ha detto Rufus, ma è già sposato con la tua mamma!”
La maestra ha detto che non era questo l’argomento e si è rimessa a sbattere la mano sulla cattedra, proprio quando cominciavano a divertirci tantissimo! Ha continuato a spiegare che con la tecnica si può fare tutto ciò che si vuole e tutto ciò che potremo fare lo faremo. Possiamo fare delle PMA o delle GPA e comunque affittare la pancia o affittare le braccia alla fabbrica è lo stesso.
Ha spiegato che un signore può dare un piccolo seme a due signore, che con un dottore sapranno bene arrangiarsi per fare un bambino, oppure che due signori possono mescolare i loro piccoli semi e trovare una signora che dà il suo piccolo seme, poi si dà tutto questo ad un’altra signora che farà il bebè nella sua pancia e lo rivenderà ai due signori.
Siccome mi amo, ho diritto al mio clone!
“Io”, ha detto Rufus, “ho visto un documentario alla televisione e si potranno presto fare dei cloni! Dato che mi amo, ho diritto al mio clone!” Ma Agnan ha detto che sarebbe meglio clonare lui, perché è il primo della classe e M. Peillon preferirebbe sicuramente che si cloni lui, e non Rufus.
Stavano per fare a botte quando Geoffroy ha messo a posto le sue cose e ha preso il suo zaino. “Dove vai?”, ha chiesto la maestra “Me ne vado”, ha detto Geoffroy. “Dato che si può scegliere il proprio genere, beh io scelgo anche la mia specie. Io sono un pinguino. E siccome i pinguini non vanno a scuola, io torno a casa mia”. Ho guardato Geoffroy e mi sono detto che era vero: aveva un po’ la faccia da pinguino e, dopo tutto, era la sua scelta. Ma Geoffroy ha guardato la maestra e ha capito che, pinguino o no, era meglio tornare al suo posto.
Stavamo per fare confusione, ma ci siamo fermati perché in fondo alla classe Juliette piangeva. Juliette non la si sente mai, non dice mai niente… E Juliette ha detto che se le cose stanno così, lei sarebbe andata a buttarsi giù da un ponte… Perché già non è facile crescere, soprattutto quando si hanno dei genitori separati; se, in più, si facessero dei bambini senza papà o senza mamma, allora non è giusto, è semplicemente brutto, e che se tutti hanno il diritto di amarsi non bisognerebbe neppure dimenticare che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma e che è forse prima questa l’uguaglianza dei diritti e che si potrà dare tanti papà quanti si vuole ad un bambino, ma tutti questi papà non faranno mai, per lui, una mamma.
Ha detto tutto questo in un botto e la maestra è rimasta a lungo con la bocca aperta e ho visto bene che aveva molta voglia di piangere. Ma non ha pianto. Ha preso Juliette fra le braccia, le ha fatto le coccole come mamma fa con me, dicendole cose dolci all’orecchio. Dopo, ci ha guardato. E poi, di botto, così, ha cancellato la lavagna dicendo che, uffa, erano tutte sciocchezze, e che non ci lasceremo prendere in giro e che se M. Peillon voleva fare il corso al suo posto che provasse un po’, ma nel frattempo avremmo fatto della grammatica. Ma che scherziamo!
http://www.prolifenews.it/filosofia-e-morale/abbiamo-avuto-educazione-sessuale/
Il giornalista Luc Tesson immagina il piccolo Nicolas che racconta l’“ora di educazione sessuale”, dopo l’approvazione delle legge Taubira, fatta dalla sua maestra
Bouillon=Il sorvegliante
Mémé=Diminutivo di nonna in francese
PMA=Procreazione Medicalmente Assistita
GPA=Sigla di Gestazione Per Altri (utero in affitto)
A scuola, oggi, la maestra era tutta strana. Ci aspettava in classe facendo dei grandi sospiri, mentre, di solito, è sempre sorridente e fa dei grandi sospiri solo quando interroga Clotaire e Clotaire diventa tutto rosso.
Ha detto: “Bene!” Dato che M. Peillon , il ministro incaricato della nostra educazione, aveva deciso di puntare sulla gioventù per fare evolvere le mentalità, avremmo fatto un corso di educazione sessuale e che il primo che sghignazza andrà da Bouillon . Noi non avevamo per niente voglia di sghignazzare, perché Bouillon non è uno spiritoso.
La maestra ci ha guardato e ci ha detto che l’importante, nella vita, è di essere tolleranti. Noi siamo tolleranti un sacco, allora abbiamo fatto tutti sì e Agnan, che è il cocco della maestra e che si mette sempre davanti, ha detto che lui era il più tollerante di tutti visto che ad ogni modo è il primo della classe in tutte le materie tranne che in ginnastica. Eudes gli ha detto: “Fai poco il furbo, mio piccolo compagno, altrimenti vedrai come sono tollerante!”. E lì, credo che la maestra ha capito che non sarebbe stato facile, oggi.
È andata alla lavagna, ha aspettato che facessimo silenzio, e ha chiesto con un’espressione molto seria: “Bene … Allora … Se siete una femmina alzate la mano!” Tutte le femmine hanno alzato la mano, e anche Clotaire, che aveva l’aria annoiata. Ma la maestra ha detto così: “Molto bene Clotaire, è la tua scelta: se vuoi essere una femmina, sta a te deciderlo”. A quel punto, Clotaire, è diventato tutto rosso e ha detto: “No, Signora, è perché voglio andare a fare la pipì”. “Non andare dalle femmine!” ha detto Eudes ridendo. Ma la maestra ha sbattuto la mano sulla cattedra e ha detto che se Clotaire voleva andare nelle toilettes delle femmine, era una sua scelta, e che non c’era niente da ridere per questo. E che era la teoria di genere, e che bisognava che ognuno scegliesse, e ci ha fatto scrivere sui nostri quaderni: “Ciascuno è libero di scegliere il suo genere”.
“Però”, ha detto Rufus, “io ho un pisellino, e non deciderò che sono una femmina”. La maestra ha risposto che era dell’eterosessismo, e che bisognava farla finita con l’eterocrazia, e che se continuavamo così finiremo in galera, dato che siamo tutti omofobi. Ho guardato Agnan, e ho visto che anche lui non aveva capito niente.
Tutto diventava veramente complicato e avrei quasi preferito fare dell’aritmetica.
La maestra si è accorta che eravamo un po’ persi, allora ha provato a spiegare in maniera diversa: “Voi avete un corpo… sta a voi decidere di…” “Io ho una merenda, ma non ho un corpo!” ha detto Alceste. “Il mio corpo sono io!” Bisogna che vi dica che Alceste è un mio compagno, gli piace mangiare, mastica lentamente quasi tutto il giorno e ciò gli dona, sicuramente, il tempo di riflettere sulla vita. Spesso, quando fa a botte, sono io che gli tengo i suoi croissants e dopo me ne dà sempre un pezzo.
Un piccolo cerchio bianco sulla lavagna nera
“Bene”, ha detto la maestra, “continuo”. Noi abbiamo trovato strana la cosa, ma non abbiamo detto niente, perché delle volte è come se la maestra stia per piangere e noi non vogliamo darle dispiacere. Si è messa a fare un piccolo cerchio bianco sulla lavagna tutta nera, dicendo: “Questo è uno spermatozoo”. Mi ha chiesto di spiegare che cos’era. Mi è andata bene perché papà mi aveva spiegato la settimana scorsa la storia dei piccoli semi che il papà dona alla mamma… e questo dopo fa un bambino nella pancia della mamma e paf!, esce il bebè. Gli si fanno tante coccole e si chiama Mémé per avvisarla che è di nuovo nonna.
“Grazie Nicolas”, ha detto la maestra, “ricomincio la lezione. Sicuramente voi tutti pensate che una famiglia è un papà, una mamma e dei bambini. Ebbene, vi sono altri modelli e sarebbe molto retrogrado non accettarlo. E se due signori si amano, o due signore, non si vede cosa impedirebbe loro di sposarsi e di fare o adottare dei bebè.”
“Che fortuna!” ha detto Rufus. “Io voglio bene a Léanne et Chloé, allora mi sposerò con tutte e due nello stesso tempo, dato che ci amiamo”. Léanne ha detto che non era d’accordo per niente e Chloé ha detto che comunque lei sposerà il suo papà e, dato che due signori che si amano si possono sposare, potrebbe sicuramente sposarsi con il suo papà, perché ama tantissimo il suo papà. “Sì, ha detto Rufus, ma è già sposato con la tua mamma!”
La maestra ha detto che non era questo l’argomento e si è rimessa a sbattere la mano sulla cattedra, proprio quando cominciavano a divertirci tantissimo! Ha continuato a spiegare che con la tecnica si può fare tutto ciò che si vuole e tutto ciò che potremo fare lo faremo. Possiamo fare delle PMA o delle GPA e comunque affittare la pancia o affittare le braccia alla fabbrica è lo stesso.
Ha spiegato che un signore può dare un piccolo seme a due signore, che con un dottore sapranno bene arrangiarsi per fare un bambino, oppure che due signori possono mescolare i loro piccoli semi e trovare una signora che dà il suo piccolo seme, poi si dà tutto questo ad un’altra signora che farà il bebè nella sua pancia e lo rivenderà ai due signori.
Siccome mi amo, ho diritto al mio clone!
“Io”, ha detto Rufus, “ho visto un documentario alla televisione e si potranno presto fare dei cloni! Dato che mi amo, ho diritto al mio clone!” Ma Agnan ha detto che sarebbe meglio clonare lui, perché è il primo della classe e M. Peillon preferirebbe sicuramente che si cloni lui, e non Rufus.
Stavano per fare a botte quando Geoffroy ha messo a posto le sue cose e ha preso il suo zaino. “Dove vai?”, ha chiesto la maestra “Me ne vado”, ha detto Geoffroy. “Dato che si può scegliere il proprio genere, beh io scelgo anche la mia specie. Io sono un pinguino. E siccome i pinguini non vanno a scuola, io torno a casa mia”. Ho guardato Geoffroy e mi sono detto che era vero: aveva un po’ la faccia da pinguino e, dopo tutto, era la sua scelta. Ma Geoffroy ha guardato la maestra e ha capito che, pinguino o no, era meglio tornare al suo posto.
Stavamo per fare confusione, ma ci siamo fermati perché in fondo alla classe Juliette piangeva. Juliette non la si sente mai, non dice mai niente… E Juliette ha detto che se le cose stanno così, lei sarebbe andata a buttarsi giù da un ponte… Perché già non è facile crescere, soprattutto quando si hanno dei genitori separati; se, in più, si facessero dei bambini senza papà o senza mamma, allora non è giusto, è semplicemente brutto, e che se tutti hanno il diritto di amarsi non bisognerebbe neppure dimenticare che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma e che è forse prima questa l’uguaglianza dei diritti e che si potrà dare tanti papà quanti si vuole ad un bambino, ma tutti questi papà non faranno mai, per lui, una mamma.
Ha detto tutto questo in un botto e la maestra è rimasta a lungo con la bocca aperta e ho visto bene che aveva molta voglia di piangere. Ma non ha pianto. Ha preso Juliette fra le braccia, le ha fatto le coccole come mamma fa con me, dicendole cose dolci all’orecchio. Dopo, ci ha guardato. E poi, di botto, così, ha cancellato la lavagna dicendo che, uffa, erano tutte sciocchezze, e che non ci lasceremo prendere in giro e che se M. Peillon voleva fare il corso al suo posto che provasse un po’, ma nel frattempo avremmo fatto della grammatica. Ma che scherziamo!
http://www.prolifenews.it/filosofia-e-morale/abbiamo-avuto-educazione-sessuale/
Risposte al matrimonio omosessuale
Manif pour tous_Francia_matrimonio omosessuale
Di recente in Francia è stato approvato il disegno di legge sui matrimoni omosessuali che apre alle coppie dello stesso sesso anche l’adozione. Hanno fatto scalpore le numerose manifestazioni delle famiglie in difesa del matrimonio tra uomo e donna, che hanno suscitato reazioni violente da parte delle forze dell’ordine.
Proponiamo qui una sintesi di risposte alle domande più discusse sul tema, offerte dagli organizzatori della Manif Pour Tous (la manifestazione francese), l’organizzazione inglese Catholic Voices, il Gran Rabbino di Francia e il filosofo francese Fabrice Hadjadj. L’articolo è tratto dal sito Documentazione.info.
1) ESTENDERE IL MATRIMONIO AGLI OMOSESSUALI, CHE FASTIDIO PUO’ MAI COMPORTARE AGLI ETERO?
Manif pour tous
Il progetto “Mariage pour tous” rivoluziona il Codice Civile sopprimendo sistematicamente le parole marito e moglie, padre e madre, sostituiti da termini asessuati come parenti. E’ un modo per sopprimere l’alterità sessuale e mettere in discussione le fondamenta dell’identità umana, del concetto di differenziazione sessuale e di filiazione. Apre la strada a una nuova forma di filiazione sociale senza alcuna aderenza alla realtà umana. Crea le premesse per un nuovo ordine antropologico, fondato non più sul sesso ma sul genere, cioè la preferenza sessuale.
Fabrice Hadjadj
C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.
Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».
Rabbino di Francia
In una visione largamente condivisa da persone credenti o non credenti, il matrimonio non è il riconoscimento di un amore; è una istituzione che sancisce l’alleanza di un uomo e di una donna per consentire la continuità delle generazioni. E’ l’istituzione di una famiglia, cioè di una cellula che crea una relazione di filiazione diretta fra i suoi membri all’interno di una comunità costituita da discendenti e ascendenti. E’ fondamentale per la costruzione e la stabilità degli individui e della società.
2) IL MATRIMONIO FRA OMOSESSUALI RISOLVE IL PROBLEMA DELLE DISCRIMINAZIONI A CUI SONO SOGGETTI ANCORA OGGI
Manif pour tous
Le norme paritarie e la filiazione naturale –universale- della famiglia favoriscono la coesione sociale e intergenerazionale. Noi non ignoriamo le problematiche specifiche delle persone omosessuali. Certe disposizioni legali permettono già di tenerle in conto (i PACS). Esse possono venir migliorate senza sconvolgere il matrimonio civile basato sulla complementarietà uomo/donna e la filiazione naturale.
Noi abbiamo la responsabilità storica di preservare la nostra civiltà, la nostra società e la nostra umanità, impegnandoci senza omofobia a difendere il matrimonio e la filiazione naturale, i diritti dei bambini.
Catholic Voices
Non c’è nessuna discriminazione nell’escludere le coppie dello stesso sesso dal matrimonio, come la Corte Europea per i diritti umani ha recentemente confermato. Esistono già i Patti di relazione civile (PACS) che regolano le relazioni fra coppie omosessuali. Consentire loro di sposarsi non aggiunge nessun diritto, ma è solo un gesto politico e simbolico che ha il solo scopo di sconvolgere il concetto di matrimonio.
Come ha detto l’arcivescovo di Canterbury : “it is an abuse of power to use the law proactively to change culture”.
Fabrice Hadjadj
Noi non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politica, letteraria, nella compassione?
Rabbino di Francia
La tesi che il matrimonio è per tutti coloro che si amano non è sostenibile. Il fatto che due persone si amino non implica affatto che si debbano sposare, siano essi omosessuali o etero.
Un uomo non può sposare una donna già sposata, nè una donna può sposare due mariti.
La sincerità dell’amore non è messa in causa. Il matrimonio è qualcosa di molto più completo dell’amore fra due persone. Da questo punto di vista il matrimonio per tutti è solo uno slogan perché l’eventuale autorizzazione al matrimonio fra omosessuali non eliminerebbe diseguaglianze e discriminazioni nei confronti di altri che si amano.
3) LE COPPIE OMOSESSUALI SONO IN GRADO DI AMARE ALTRETTANTO BENE CHE LE COPPIE ETEROSESSUALI?
Rabbino di Francia
Non c’è alcun dubbio che persone omosessuali sono capaci di amare ed educare i bambini allo stesso modo degli eterosessuali ma il ruolo dei genitori non consiste unicamente nell’amore che possono dare ai loro figli, né nella educazione che possono fornire: il legame filiale è un vettore psichico che è fondante per il senso di identità del ragazzo.
Tutto l’affetto di questo mondo non è sufficiente a produrre le condizioni psichiche che rispondono al bisogno del ragazzo di sapere da dove proviene. Il padre e la madre indicano al figli la sua genealogia, che gli è necessaria per posizionarsi nella catena delle generazioni e rapportarsi al resto del mondo.
4) PERCHE’ DISCRIMINARE LE COPPIE OMOSESSUALI RIGUARDO L’ADOZIONE?
Manif pour tous
Con la possibilità di adozione da parte di due uomini o due donne, dei bambini saranno considerarti dalla legge come se fossero nati da due genitori dello stesso sesso, quindi privati volontariamente del padre o della madre. Sarà loro vietato accedere a una metà della loro origine. Si tratta di un atto profondamente discriminatorio e ingiusto per tali ragazzi.
Rabbino di Francia
Non c’è un diritto ad avere un bambino, né per le coppie omosessuali né per quelle etero.
Il bambino non è un oggetto di diritto ma soggetto di diritto.
Il bambino adottato ha bisogno, più di chiunque altro, di un padre e di una madre. L’abbandono è visto come una ferita profonda e l’orfano aspira a ritrovare ciò che ha perduto.
L’adozione da parte di una coppia omosessuale rischia di accrescere il trauma del bambino perché la catena della filiazione risulterà essere stata doppiamente interrotta: nella realtà dei fatti per l’abbandono subito e nell’artificiosità parentale costruita sull’omosessualità dei suoi genitori adottivi.
5) LA PROCREAZIONE ASSISTITA CONSENTE ORA FORME DI OMOGENITORIALITA’ (HOMOPARENTALITE’) PRIMA IMPOSSIBILI
Manif pour tous
Dal momento che in Francia il numero dei bambini adottabili sarà inferiore al numero di coppie in attesa di adozione, le coppie del medesimo sesso finiranno per adottare dei bambini fabbricati attraverso la procreazione assistita eterologa (per le donne) o attraverso una madre surrogata per gli uomini. Sono già in atto iniziative per estendere in questo senso la legge appena approvata.
Rabbino di Francia
Le nuove forme di omogenitorialità consentite dalle varie forme di procreazione assistita (donazione di ovociti, di sperma, utero in affitto) aprono prospettive complesse e nuove forme di rivendicazione: queste vanno trattate nell’ambito più generale della Bioetica salvaguardando soprattutto i diritti del bambino e non debbono essere prese in ostaggio da rivendicazioni orientate ad annullare la differenza fra sessi.
http://www.prolifenews.it/legislazione/alcune-risposte-al-matrimonio-omosessuale/
Di recente in Francia è stato approvato il disegno di legge sui matrimoni omosessuali che apre alle coppie dello stesso sesso anche l’adozione. Hanno fatto scalpore le numerose manifestazioni delle famiglie in difesa del matrimonio tra uomo e donna, che hanno suscitato reazioni violente da parte delle forze dell’ordine.
Proponiamo qui una sintesi di risposte alle domande più discusse sul tema, offerte dagli organizzatori della Manif Pour Tous (la manifestazione francese), l’organizzazione inglese Catholic Voices, il Gran Rabbino di Francia e il filosofo francese Fabrice Hadjadj. L’articolo è tratto dal sito Documentazione.info.
1) ESTENDERE IL MATRIMONIO AGLI OMOSESSUALI, CHE FASTIDIO PUO’ MAI COMPORTARE AGLI ETERO?
Manif pour tous
Il progetto “Mariage pour tous” rivoluziona il Codice Civile sopprimendo sistematicamente le parole marito e moglie, padre e madre, sostituiti da termini asessuati come parenti. E’ un modo per sopprimere l’alterità sessuale e mettere in discussione le fondamenta dell’identità umana, del concetto di differenziazione sessuale e di filiazione. Apre la strada a una nuova forma di filiazione sociale senza alcuna aderenza alla realtà umana. Crea le premesse per un nuovo ordine antropologico, fondato non più sul sesso ma sul genere, cioè la preferenza sessuale.
Fabrice Hadjadj
C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.
Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».
Rabbino di Francia
In una visione largamente condivisa da persone credenti o non credenti, il matrimonio non è il riconoscimento di un amore; è una istituzione che sancisce l’alleanza di un uomo e di una donna per consentire la continuità delle generazioni. E’ l’istituzione di una famiglia, cioè di una cellula che crea una relazione di filiazione diretta fra i suoi membri all’interno di una comunità costituita da discendenti e ascendenti. E’ fondamentale per la costruzione e la stabilità degli individui e della società.
2) IL MATRIMONIO FRA OMOSESSUALI RISOLVE IL PROBLEMA DELLE DISCRIMINAZIONI A CUI SONO SOGGETTI ANCORA OGGI
Manif pour tous
Le norme paritarie e la filiazione naturale –universale- della famiglia favoriscono la coesione sociale e intergenerazionale. Noi non ignoriamo le problematiche specifiche delle persone omosessuali. Certe disposizioni legali permettono già di tenerle in conto (i PACS). Esse possono venir migliorate senza sconvolgere il matrimonio civile basato sulla complementarietà uomo/donna e la filiazione naturale.
Noi abbiamo la responsabilità storica di preservare la nostra civiltà, la nostra società e la nostra umanità, impegnandoci senza omofobia a difendere il matrimonio e la filiazione naturale, i diritti dei bambini.
Catholic Voices
Non c’è nessuna discriminazione nell’escludere le coppie dello stesso sesso dal matrimonio, come la Corte Europea per i diritti umani ha recentemente confermato. Esistono già i Patti di relazione civile (PACS) che regolano le relazioni fra coppie omosessuali. Consentire loro di sposarsi non aggiunge nessun diritto, ma è solo un gesto politico e simbolico che ha il solo scopo di sconvolgere il concetto di matrimonio.
Come ha detto l’arcivescovo di Canterbury : “it is an abuse of power to use the law proactively to change culture”.
Fabrice Hadjadj
Noi non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politica, letteraria, nella compassione?
Rabbino di Francia
La tesi che il matrimonio è per tutti coloro che si amano non è sostenibile. Il fatto che due persone si amino non implica affatto che si debbano sposare, siano essi omosessuali o etero.
Un uomo non può sposare una donna già sposata, nè una donna può sposare due mariti.
La sincerità dell’amore non è messa in causa. Il matrimonio è qualcosa di molto più completo dell’amore fra due persone. Da questo punto di vista il matrimonio per tutti è solo uno slogan perché l’eventuale autorizzazione al matrimonio fra omosessuali non eliminerebbe diseguaglianze e discriminazioni nei confronti di altri che si amano.
3) LE COPPIE OMOSESSUALI SONO IN GRADO DI AMARE ALTRETTANTO BENE CHE LE COPPIE ETEROSESSUALI?
Rabbino di Francia
Non c’è alcun dubbio che persone omosessuali sono capaci di amare ed educare i bambini allo stesso modo degli eterosessuali ma il ruolo dei genitori non consiste unicamente nell’amore che possono dare ai loro figli, né nella educazione che possono fornire: il legame filiale è un vettore psichico che è fondante per il senso di identità del ragazzo.
Tutto l’affetto di questo mondo non è sufficiente a produrre le condizioni psichiche che rispondono al bisogno del ragazzo di sapere da dove proviene. Il padre e la madre indicano al figli la sua genealogia, che gli è necessaria per posizionarsi nella catena delle generazioni e rapportarsi al resto del mondo.
4) PERCHE’ DISCRIMINARE LE COPPIE OMOSESSUALI RIGUARDO L’ADOZIONE?
Manif pour tous
Con la possibilità di adozione da parte di due uomini o due donne, dei bambini saranno considerarti dalla legge come se fossero nati da due genitori dello stesso sesso, quindi privati volontariamente del padre o della madre. Sarà loro vietato accedere a una metà della loro origine. Si tratta di un atto profondamente discriminatorio e ingiusto per tali ragazzi.
Rabbino di Francia
Non c’è un diritto ad avere un bambino, né per le coppie omosessuali né per quelle etero.
Il bambino non è un oggetto di diritto ma soggetto di diritto.
Il bambino adottato ha bisogno, più di chiunque altro, di un padre e di una madre. L’abbandono è visto come una ferita profonda e l’orfano aspira a ritrovare ciò che ha perduto.
L’adozione da parte di una coppia omosessuale rischia di accrescere il trauma del bambino perché la catena della filiazione risulterà essere stata doppiamente interrotta: nella realtà dei fatti per l’abbandono subito e nell’artificiosità parentale costruita sull’omosessualità dei suoi genitori adottivi.
5) LA PROCREAZIONE ASSISTITA CONSENTE ORA FORME DI OMOGENITORIALITA’ (HOMOPARENTALITE’) PRIMA IMPOSSIBILI
Manif pour tous
Dal momento che in Francia il numero dei bambini adottabili sarà inferiore al numero di coppie in attesa di adozione, le coppie del medesimo sesso finiranno per adottare dei bambini fabbricati attraverso la procreazione assistita eterologa (per le donne) o attraverso una madre surrogata per gli uomini. Sono già in atto iniziative per estendere in questo senso la legge appena approvata.
Rabbino di Francia
Le nuove forme di omogenitorialità consentite dalle varie forme di procreazione assistita (donazione di ovociti, di sperma, utero in affitto) aprono prospettive complesse e nuove forme di rivendicazione: queste vanno trattate nell’ambito più generale della Bioetica salvaguardando soprattutto i diritti del bambino e non debbono essere prese in ostaggio da rivendicazioni orientate ad annullare la differenza fra sessi.
http://www.prolifenews.it/legislazione/alcune-risposte-al-matrimonio-omosessuale/
IL RISCHIO DELL’UTERO IN AFFITTO UNA STORIA CHE STA COMMOVENDO TUTTI
http://www.seinelpostogiusto.org/il-rischio-dellutero-in-affitto-una-storia-che-sta-commovendo-tutti/
La storia di Crystal Kelley, sta commovendo tutti. La ragazza è una madre portante, ossia una donna che affitta il proprio utero assumendosi il compito di provvedere alla gestazione per conto di una coppia sterile, alla quale consegnerà il nascituro al momento della nascita. Chi mette al mondo un figlio in queste condizioni rinuncia per sempre a qualsiasi tipo di legame e diritti sul nascituro. La storia si svolge nel Connecticut. Crystal ha deciso di affittare il proprio utero a due genitori biologici, che quando hanno scoperto che la bimba portata in grembo dalla donna era malata le hanno chiesto di abortire. La ragazza si è opposta e ha deciso di portare avanti la gestazione. Durante la gravidanza, infatti si è scoperto che la piccola era affetta da cheiloschisi, ossia una grave malformazione al cuore e in più presentava una ciste al cervello. I genitori biologici, a questo punto hanno chiesto alla ragazza di abortire, come da contratto. Infatti prima della inseminazione si era stabilito tra i tre un contratto in cui era esplicitamente scritto che in caso di malformazioni del feto si sarebbe ricorso all’interruzione della gravidanza. Crystal però non si è sentita di rispettare la clausola del contratto, ne sono valse le offerte di denaro proposte dai due genitori biologici, a farle cambiare idea. I genitori si sono quindi rivolti anche ad un avvocato, ma nulla l’ ha fatta recedere dal portare avanti la gravidanza. A questo punto i genitori naturali si sono arresi e le hanno chiesto di portare avanti la gravidanza, ma al momento della nascita la neonata sarebbe stata affidata alla custodia dello stato. La legge del Connecticut, ha dato ragione alla coppia , poichè essendo loro i veri genitori e non la fattrice, potevano decidere il destino del nascituro. A questo punto Crystal non ha visto altra via di uscita che quella della fuga , perchè se non accettava l’aborto non voleva neanche per la piccola un destino in un istituto fino alla sua morte. E’ fuggita via con quella figlia in grembo non sua, rifugiandosi in uno stato che le permettesse di riconoscere lei quale madre della piccola. E’ arrivata fino in Michigan e lì ha partorito una bimba purtroppo malata, ma che è stata adottata da una coppia che l’adora e la sta crescendo nonostante i mille problemi e difficoltà come un prezioso dono della vita.
La storia di Crystal Kelley, sta commovendo tutti. La ragazza è una madre portante, ossia una donna che affitta il proprio utero assumendosi il compito di provvedere alla gestazione per conto di una coppia sterile, alla quale consegnerà il nascituro al momento della nascita. Chi mette al mondo un figlio in queste condizioni rinuncia per sempre a qualsiasi tipo di legame e diritti sul nascituro. La storia si svolge nel Connecticut. Crystal ha deciso di affittare il proprio utero a due genitori biologici, che quando hanno scoperto che la bimba portata in grembo dalla donna era malata le hanno chiesto di abortire. La ragazza si è opposta e ha deciso di portare avanti la gestazione. Durante la gravidanza, infatti si è scoperto che la piccola era affetta da cheiloschisi, ossia una grave malformazione al cuore e in più presentava una ciste al cervello. I genitori biologici, a questo punto hanno chiesto alla ragazza di abortire, come da contratto. Infatti prima della inseminazione si era stabilito tra i tre un contratto in cui era esplicitamente scritto che in caso di malformazioni del feto si sarebbe ricorso all’interruzione della gravidanza. Crystal però non si è sentita di rispettare la clausola del contratto, ne sono valse le offerte di denaro proposte dai due genitori biologici, a farle cambiare idea. I genitori si sono quindi rivolti anche ad un avvocato, ma nulla l’ ha fatta recedere dal portare avanti la gravidanza. A questo punto i genitori naturali si sono arresi e le hanno chiesto di portare avanti la gravidanza, ma al momento della nascita la neonata sarebbe stata affidata alla custodia dello stato. La legge del Connecticut, ha dato ragione alla coppia , poichè essendo loro i veri genitori e non la fattrice, potevano decidere il destino del nascituro. A questo punto Crystal non ha visto altra via di uscita che quella della fuga , perchè se non accettava l’aborto non voleva neanche per la piccola un destino in un istituto fino alla sua morte. E’ fuggita via con quella figlia in grembo non sua, rifugiandosi in uno stato che le permettesse di riconoscere lei quale madre della piccola. E’ arrivata fino in Michigan e lì ha partorito una bimba purtroppo malata, ma che è stata adottata da una coppia che l’adora e la sta crescendo nonostante i mille problemi e difficoltà come un prezioso dono della vita.
Il mercato degli ovuli e quello delle pance
8.000 dollari per un ciclo di ovociti. Le studentesse americane in crisi finanziaria sono il nuovo target delle banche di ovuli. Si parla di donazione, ma è una vendita. Mentre gli uteri in affitto nei paesi poveri alimentano nuovi casi giuridici planetari. Un'inchiesta-analisi sulla riproduzione tra Stato e mercato
Fra pochi giorni avrà inizio l'anno accademico qui negli Stati uniti. Sulle mura della mia università – la Columbia, di New York – come su quelle di tanti altri atenei statunitensi compariranno immagini di coppie felici con bimbi in braccio. Sorridenti, si rivolgono alle iscritte delle varie facoltà: offrono somme cospicue - normalmente attorno agli 8.000 dollari - in cambio di ovociti “donati.” Si capisce perché le studentesse sono diventate il target delle banche di ovuli: il «pool» degli atenei equivale alla famosa banca dello sperma dei premi Nobel. Le donne Nobel sono poche; inoltre, sono attempate: i loro ovuli scarseggiano e se esistono sono vecchiotti. Le laureande di Columbia o Harvard, invece ... giovani, energiche, destinate a grandi carriere, non solo sono fertili ma dispongono di geni che promettono bene.
E' facile che le studentesse, oberate di debiti come spesso sono, trovino l'offerta allettante. Un anno in una facoltà di legge o medicina di una grande università privata costa attorno ai 50.000 dollari. La crisi economica non ha aiutato chi studia e anche chi è riuscita a evitare debiti (grazie sopratutto a ingenti aiuti familiari) a un certo punto si chiederà se non sia il caso di coprire quantomeno una parte delle proprie spese. Del resto, sembra tutto così facile: «donare» l'ovulo evoca «donare» lo sperma, di primo acchito potrebbero sembrare richiedere sforzi (e comportare rischi) analoghi benché sia assai più difficile separarsi dall'uno anziché dall'altro.
Oltretutto, la proposta è moralmente gratificante: sollecita proprio quell'orientamento al prendere cura che caratterizzerebbe le donne. Più di vent'anni fa, Carol Gilligan ha messo in evidenza come l'etica femminile si basa sulla cura degli altri (a differenza di quella maschile, che sarebbe orientata all'autonomia) e la lezione è stata capita al volo dalle banche di ovuli. «Non vuoi aiutare un'altra donna?» chiedono i loro volantini. Chi non si sentirebbe in colpa rifiutando? Il compenso – e con esso il sapore di compravendita – sparisce, tramutato magicamente in dono dall'opera di bene. Così alla femminilità si risparmia il confronto con la propria commercializzazione.
Sia chiaro: la donazione di ovuli può costituire un atto di solidarietà, dando soddisfazioni enormi sia a chi lo compie sia a chi ne è beneficiario. Così pure la maternità surrogata può realizzarsi all'insegna della gratuità e dell'amicizia. Ma in realtà il più delle volte si iscrive in un crescente commercio che ormai coinvolge «star» come Sarah Jessica Parker e gente normale, clienti che rimangono «in loco» ed altri che cercano migliori tariffe o maggiore agevolezza burocratica oltrepassando le frontiere. Vi sono paesi «esportatori» e «importatori» di servizi legati a questo commercio. Alcuni lo hanno legalizzato; altri lo hanno proibito. Casi giuridici, dall'Australia all'Italia passando per l'Uzbekistan e Taiwan, dimostrano che è diventato impossibile non farvi i conti – non solo a livello nazionale, ma anche sul piano internazionale.
Infatti, l'ovocita che le studentesse della Columbia sono sollecitate a donare non è un bambino: ci vogliono altri passaggi, ed altri contribuenti, per trasformare l'ovulo in neonato. Per chi vuole un figlio fatto su commissione, dopo avere procurato sperma e ovocita e provveduto alla fertilizzazione, occorre individuare chi potrà fungere da incubatrice. La tecnologia permette infatti lo sdoppiamento della maternità fisica in due momenti separati: la fornitura di «materiale genetico» (ovvero la messa a disposizione di ovociti) e la gestazione. Ciascuno di essi può essere affidato a una donna distinta. Nella maternità surrogata tradizionale, una sola donna svolge entrambe queste funzioni. Ma quando le funzioni si cumulano, pare vi sia una maggiore propensione delle gestanti ad attaccarsi al nascituro, generando più conflitti nella consegna del bambino da parte della partoriente ai genitori committenti. Insomma, una donna che fornisce sia ovulo che utero sembra più facilmente identificarsi come madre del nascituro (chissà perché!); perciò i legislatori disposti a legittimare la riproduzione surrogata spesso optano per politiche che privilegiano la «gestational surrogacy.» (Noto per inciso che lo sdoppiamento delle funzioni che si realizza nella «gestational surrogacy» allarga notevolmente l'offerta di merci e servizi– ovociti comperati a New York, per esempio, utero localizzato a Nuova Delhii, provetta ... a Roma? Ma di questo parleremo fra un momento).
E' ovvio che la soluzione «migliore» al dilemma dell'attaccamento materno sarebbe una buona macchina per partorire. Ma fin qui non siamo ancora arrivati. Disponiamo, invece, di donne pronte a prestare il loro utero per il numero di mesi richiesto – quelle che la stampa ama chiamare le «pance in affitto.» Recentemente mi è passato fra le mani un contratto-tipo, in cui la fornitrice d'utero compariva come la «portatrice d'embrione». Nove mesi nel grembo? Non chiamarla «madre»! E' una portatrice d'embrione! Ricorda i facchini d'un tempo: lei porta l'embrione come loro portavano le borse
Purtroppo, l'analogia è più appropriata di quanto non si possa pensare. Vi è frequentemente una differenza di censo oltreché di colore e di collocazione geografica fra quelli ai quali l'embrione è portato e colei che lo porta. L'India, per esempio, ha aggiunto i servizi di riproduzione surrogata alla sua tradizionale industria del turismo sanitario. Dall'America o dal Giappone non ci si va più soltanto per curarsi i denti ma anche per acquistare un bambino fatto su misura. Ora che i mercati hanno capito che i bambini somigliano ai fornitori del loro materiale genetico e non a chi gli ha incubati - donne «scure» possono portare bambini «chiari», basta procurarsi ovulo e sperma adatti all'esito desiderato - le compagnie aeree possono contare su una nuova clientela
La via internazionale della riproduzione su committenza è tuttavia piena di intoppi, spesso legati all'incompatibilità di ordinamenti giuridici. A maggio di quest'anno, gemelli prodotti su misura in India per una coppia tedesca hanno finalmente preso la via di «casa», intendendo per questa la casa dei genitori committenti: avevano già festeggiato il secondo compleanno. La Germania – che vieta tassativamente la maternità surrogata - si e' rifiutata di riconoscere i gemelli come figli della coppia tedesca. Di fronte a questo diniego, il padre dei gemelli si era rivolto alle autorità locali per ottenere un riconoscimento di nazionalità indiana: gli sarà sembrato il modo migliore per assicurare dei passaporti ai gemelli, permettendone l'espatrio. Pur avendo il tribunale del Gujarat (lo stato indiano di nascita dei gemelli) deciso che, essendo nati di madre indiana su suolo indiano, i bambini potevano considerarsi di nazionalità indiana, l'attuazione della sentenza è stata fermata da un rinvio alla Suprema Corte nazionale. La decisione del tribunale del Gujarat verte sul riconoscimento dello status di madre alla partoriente e pertanto apre la possibilità alla stessa di rivendicare molteplici diritti nei confronti dei figli, del padre, e dello stato. Si capisce che se fosse attuata una tale sentenza porrebbe non pochi problemi ad un industria nazionale che taluni sperano di vedere fatturare 2,3 miliardi di dollari entro il 2012.
Ai bimbi della coppia tedesca sono stati infine concessi documenti di viaggio straordinari per permetterne l'ingresso in Germania, ove i genitori committenti dovrebbero adottarli formalmente (nonostante il padre committente sia anche il padre biologico, e nonostante in India tale adozione risultasse impossibile). Intanto, l'India dibatte un nuovo testo legislativo il quale, fra l'altro, limiterebbe il numero di volte in cui una donna può fungere da surrogata (saranno solo 5) e imporrebbe a committenti stranieri di dimostrare che il loro paese d'origine è disposto a riconoscere la filiazione dei bambini nati e quindi a concedergli documenti di identità. Come dire che una coppia italiana dovrebbe esibire documenti attestanti la disponibilità dello stato italiano a riconoscere la filiazione del nascituro – il che richiederebbe il ribaltamento dell'attuale politica italiana.
Nella confusione creata dai diritti incrociati, numerosi paesi discutono proposte di riforma tese ad evitare il dramma di bimbi bloccati alle frontiere o incapaci di acquisire i normali diritti di cittadinanza, ridurre rischi di sfruttamento di tutte le parti in causa, ed evitare rivendicazioni disdicevoli da parte di gestanti insoddisfatte dei compensi ricevuti. Al centro dei dibattiti vi è la definizione del rapporto fra donatrice di ovociti, portatrice della gravidanza, e madre committente. Chi è «la» madre e quante madri si possono avere? Verrebbe da chiedersi rispetto a quali funzioni, con quali diritti e per quanto tempo una donna è madre di un particolare figlio. L'adozione potrebbe servire da modello – se si volesse riconoscere alle o alla madri biologiche lo status di madre, quantomeno temporaneo. Ma nel linguaggio corrente, la madre biologica va sparendo, scissa in funzioni para-meccaniche che con la maternità parerebbero non avere più assonanza. Il vecchio principio – tutt'ora in vigore in gran parte degli ordinamenti giuridici nazionali – per cui la madre è colei che partorisce perde pregnanza in un contesto che preferisce vedere la donna gravida come locandiera. Alla partoriente si sostituisce la «pancia in affitto.»
Parlare di pance «in affitto» rimanda a diritti di possesso e alienazione. Perché mai una donna non dovrebbe affittare ciò che comunque le appartiene? L'affitto non è una vendita: l'utero torna indietro. E poiché la bimba che nascerà non era mai della locandiera, del suo status di oggetto di scambio non abbiamo motivo di preoccuparci. Parlare d'affitto centra l'attenzione laddove il mercato vuole che rimanga: sul luogo anziché sulla persona che, per cosi' dire, l'alberga. Le femministe (mie amiche) che tanto si preoccupano delle rappresentazioni vittimiste delle donne ogni qualvolta si parla di limitare le pratiche d'infibulazione farebbero bene a notare la passività implicita nell'immagine della locandiera uterina. Stipulato il contratto, la donna non c'entra più: sarebbe l'utero a svolgere magicamente il lavoro di (ri)produzione. Le condizioni tipicamente imposte alle gestanti – niente alcool, niente fumo, niente comportamento «pericoloso» -- equivarrebbero semplicemente a quelle clausole nei contratti d'affitto che vietano al padrone di casa di usare la propria chiave per entrare e fare danni. Siamo forse passate da «noi e il nostro corpo» a «noi e la nostra proprietà immobiliare?»
Viene da chiedersi se la logica della riproduzione surrogata implica il superamento della genitoralita' biologica. Ovocita+spermatozoo+utero=bambino: ciascuna componente ha un suo «fornitore.» La filiazione vera diviene allora prettamente sociale. E' evidente che i genitori sociali – ovvero, coloro il cui status deriva da percorsi prettamente affettivi ed istituzionali – sono genitori. Ma come vogliamo trattare le donne che «producono» bambini? Per alcuni, sono lavoratrici e dovrebbero essere protette come tali: il servizio che forniscono non differisce sostanzialmente da qualsiasi altro lavoro fisico. Occorre perciò assicurarle un salario giusto, garanzie contro i rischi del lavoro, contratti legalmente validi. Il fatto che la retribuzione offerta ad una «pancia» può equivalere a molte volte il reddito altrimenti perseguibile rafforza la percezione che affittare l'utero rappresenta una scelta economicamente razionale da non sottoporre a moralismi indebiti. Al contrario, dare lavora a chi ne ha bisogno appare come una scelta solidaristica iscritta in uno scambio equo.
Per altri, le «pance» sono gestanti come tante donne che finiscono per rinunciare ai propri figli. La gestante su commissione appare allora paragonabile alle madre che cede il proprio figlio in adozione. Essa dovrebbe godere quantomeno dei diritti assegnati a chi da in adozione il proprio figlio, in particolare dovrebbe potere contare su un periodo – limitato – in cui decidere se tornare indietro sulla promessa iniziale di consegnare il neonato. La situazione qui si complica, perché spesso lo spermatozoo e' stato fornito dal marito della coppia committente: alcune famose sentenze giudiziarie hanno quindi individuato il padre nel committente e la madre nella partoriente, decidendo poi a chi assegnare i diritti di convivenza in base al – vago ma universalmente invocato – principio del migliore interesse del bambino. Certo, non è una soluzione che risolve le tensioni del mercato della riproduzione su commessa.
Se la partoriente fornisce un servizio come altri, potremmo desumerne che il prodotto della sua manifattura è una merce come altre – che si può legittimamente comperare e vendere. Se la partoriente è una madre, allora il figlio è «suo» ed è figlio, soggetto ai divieti contro la mercificazione umana che è propria di quasi tutti gli ordinamenti che hanno abolito la schiavitù. Legislatori e tribunali dall'Australia alle Uzbekistan si sono posti o si stanno ponendo queste domande. Arrivare ad un coordinamento internazionale sembra indispensabile. Negare la realtà del mercato corrisponde a nascondere la testa nella sabbia: prima o poi, occorrerà far fronte a ciò che sta accadendo. Adottare un atteggiamento puramente punitivo, criminalizzando la riproduzione surrogata, non potrà che aumentare evasioni della legge, sfruttamento, e ricatto. Ma ciò non significa che sia accettabile la mercificazione di donne e bambini implicita nella riproduzione su commessa. C'era una volta uno slogan: non più macchine per la riproduzione ma donne in lotta per la liberazione. Ce lo ricordiamo forse in poche, con tenerezza nonché un vago brivido di paura di fronte ad una «liberazione» che rinvia ad ideologie ormai messe da parte. Ma vogliamo chiederci se davvero dobbiamo essere complici in questa nuova edizione di «macchine di riproduzione».
http://www.ingenere.it/articoli/il-mercato-degli-ovuli-e-quello-delle-pance
Fra pochi giorni avrà inizio l'anno accademico qui negli Stati uniti. Sulle mura della mia università – la Columbia, di New York – come su quelle di tanti altri atenei statunitensi compariranno immagini di coppie felici con bimbi in braccio. Sorridenti, si rivolgono alle iscritte delle varie facoltà: offrono somme cospicue - normalmente attorno agli 8.000 dollari - in cambio di ovociti “donati.” Si capisce perché le studentesse sono diventate il target delle banche di ovuli: il «pool» degli atenei equivale alla famosa banca dello sperma dei premi Nobel. Le donne Nobel sono poche; inoltre, sono attempate: i loro ovuli scarseggiano e se esistono sono vecchiotti. Le laureande di Columbia o Harvard, invece ... giovani, energiche, destinate a grandi carriere, non solo sono fertili ma dispongono di geni che promettono bene.
E' facile che le studentesse, oberate di debiti come spesso sono, trovino l'offerta allettante. Un anno in una facoltà di legge o medicina di una grande università privata costa attorno ai 50.000 dollari. La crisi economica non ha aiutato chi studia e anche chi è riuscita a evitare debiti (grazie sopratutto a ingenti aiuti familiari) a un certo punto si chiederà se non sia il caso di coprire quantomeno una parte delle proprie spese. Del resto, sembra tutto così facile: «donare» l'ovulo evoca «donare» lo sperma, di primo acchito potrebbero sembrare richiedere sforzi (e comportare rischi) analoghi benché sia assai più difficile separarsi dall'uno anziché dall'altro.
Oltretutto, la proposta è moralmente gratificante: sollecita proprio quell'orientamento al prendere cura che caratterizzerebbe le donne. Più di vent'anni fa, Carol Gilligan ha messo in evidenza come l'etica femminile si basa sulla cura degli altri (a differenza di quella maschile, che sarebbe orientata all'autonomia) e la lezione è stata capita al volo dalle banche di ovuli. «Non vuoi aiutare un'altra donna?» chiedono i loro volantini. Chi non si sentirebbe in colpa rifiutando? Il compenso – e con esso il sapore di compravendita – sparisce, tramutato magicamente in dono dall'opera di bene. Così alla femminilità si risparmia il confronto con la propria commercializzazione.
Sia chiaro: la donazione di ovuli può costituire un atto di solidarietà, dando soddisfazioni enormi sia a chi lo compie sia a chi ne è beneficiario. Così pure la maternità surrogata può realizzarsi all'insegna della gratuità e dell'amicizia. Ma in realtà il più delle volte si iscrive in un crescente commercio che ormai coinvolge «star» come Sarah Jessica Parker e gente normale, clienti che rimangono «in loco» ed altri che cercano migliori tariffe o maggiore agevolezza burocratica oltrepassando le frontiere. Vi sono paesi «esportatori» e «importatori» di servizi legati a questo commercio. Alcuni lo hanno legalizzato; altri lo hanno proibito. Casi giuridici, dall'Australia all'Italia passando per l'Uzbekistan e Taiwan, dimostrano che è diventato impossibile non farvi i conti – non solo a livello nazionale, ma anche sul piano internazionale.
Infatti, l'ovocita che le studentesse della Columbia sono sollecitate a donare non è un bambino: ci vogliono altri passaggi, ed altri contribuenti, per trasformare l'ovulo in neonato. Per chi vuole un figlio fatto su commissione, dopo avere procurato sperma e ovocita e provveduto alla fertilizzazione, occorre individuare chi potrà fungere da incubatrice. La tecnologia permette infatti lo sdoppiamento della maternità fisica in due momenti separati: la fornitura di «materiale genetico» (ovvero la messa a disposizione di ovociti) e la gestazione. Ciascuno di essi può essere affidato a una donna distinta. Nella maternità surrogata tradizionale, una sola donna svolge entrambe queste funzioni. Ma quando le funzioni si cumulano, pare vi sia una maggiore propensione delle gestanti ad attaccarsi al nascituro, generando più conflitti nella consegna del bambino da parte della partoriente ai genitori committenti. Insomma, una donna che fornisce sia ovulo che utero sembra più facilmente identificarsi come madre del nascituro (chissà perché!); perciò i legislatori disposti a legittimare la riproduzione surrogata spesso optano per politiche che privilegiano la «gestational surrogacy.» (Noto per inciso che lo sdoppiamento delle funzioni che si realizza nella «gestational surrogacy» allarga notevolmente l'offerta di merci e servizi– ovociti comperati a New York, per esempio, utero localizzato a Nuova Delhii, provetta ... a Roma? Ma di questo parleremo fra un momento).
E' ovvio che la soluzione «migliore» al dilemma dell'attaccamento materno sarebbe una buona macchina per partorire. Ma fin qui non siamo ancora arrivati. Disponiamo, invece, di donne pronte a prestare il loro utero per il numero di mesi richiesto – quelle che la stampa ama chiamare le «pance in affitto.» Recentemente mi è passato fra le mani un contratto-tipo, in cui la fornitrice d'utero compariva come la «portatrice d'embrione». Nove mesi nel grembo? Non chiamarla «madre»! E' una portatrice d'embrione! Ricorda i facchini d'un tempo: lei porta l'embrione come loro portavano le borse
Purtroppo, l'analogia è più appropriata di quanto non si possa pensare. Vi è frequentemente una differenza di censo oltreché di colore e di collocazione geografica fra quelli ai quali l'embrione è portato e colei che lo porta. L'India, per esempio, ha aggiunto i servizi di riproduzione surrogata alla sua tradizionale industria del turismo sanitario. Dall'America o dal Giappone non ci si va più soltanto per curarsi i denti ma anche per acquistare un bambino fatto su misura. Ora che i mercati hanno capito che i bambini somigliano ai fornitori del loro materiale genetico e non a chi gli ha incubati - donne «scure» possono portare bambini «chiari», basta procurarsi ovulo e sperma adatti all'esito desiderato - le compagnie aeree possono contare su una nuova clientela
La via internazionale della riproduzione su committenza è tuttavia piena di intoppi, spesso legati all'incompatibilità di ordinamenti giuridici. A maggio di quest'anno, gemelli prodotti su misura in India per una coppia tedesca hanno finalmente preso la via di «casa», intendendo per questa la casa dei genitori committenti: avevano già festeggiato il secondo compleanno. La Germania – che vieta tassativamente la maternità surrogata - si e' rifiutata di riconoscere i gemelli come figli della coppia tedesca. Di fronte a questo diniego, il padre dei gemelli si era rivolto alle autorità locali per ottenere un riconoscimento di nazionalità indiana: gli sarà sembrato il modo migliore per assicurare dei passaporti ai gemelli, permettendone l'espatrio. Pur avendo il tribunale del Gujarat (lo stato indiano di nascita dei gemelli) deciso che, essendo nati di madre indiana su suolo indiano, i bambini potevano considerarsi di nazionalità indiana, l'attuazione della sentenza è stata fermata da un rinvio alla Suprema Corte nazionale. La decisione del tribunale del Gujarat verte sul riconoscimento dello status di madre alla partoriente e pertanto apre la possibilità alla stessa di rivendicare molteplici diritti nei confronti dei figli, del padre, e dello stato. Si capisce che se fosse attuata una tale sentenza porrebbe non pochi problemi ad un industria nazionale che taluni sperano di vedere fatturare 2,3 miliardi di dollari entro il 2012.
Ai bimbi della coppia tedesca sono stati infine concessi documenti di viaggio straordinari per permetterne l'ingresso in Germania, ove i genitori committenti dovrebbero adottarli formalmente (nonostante il padre committente sia anche il padre biologico, e nonostante in India tale adozione risultasse impossibile). Intanto, l'India dibatte un nuovo testo legislativo il quale, fra l'altro, limiterebbe il numero di volte in cui una donna può fungere da surrogata (saranno solo 5) e imporrebbe a committenti stranieri di dimostrare che il loro paese d'origine è disposto a riconoscere la filiazione dei bambini nati e quindi a concedergli documenti di identità. Come dire che una coppia italiana dovrebbe esibire documenti attestanti la disponibilità dello stato italiano a riconoscere la filiazione del nascituro – il che richiederebbe il ribaltamento dell'attuale politica italiana.
Nella confusione creata dai diritti incrociati, numerosi paesi discutono proposte di riforma tese ad evitare il dramma di bimbi bloccati alle frontiere o incapaci di acquisire i normali diritti di cittadinanza, ridurre rischi di sfruttamento di tutte le parti in causa, ed evitare rivendicazioni disdicevoli da parte di gestanti insoddisfatte dei compensi ricevuti. Al centro dei dibattiti vi è la definizione del rapporto fra donatrice di ovociti, portatrice della gravidanza, e madre committente. Chi è «la» madre e quante madri si possono avere? Verrebbe da chiedersi rispetto a quali funzioni, con quali diritti e per quanto tempo una donna è madre di un particolare figlio. L'adozione potrebbe servire da modello – se si volesse riconoscere alle o alla madri biologiche lo status di madre, quantomeno temporaneo. Ma nel linguaggio corrente, la madre biologica va sparendo, scissa in funzioni para-meccaniche che con la maternità parerebbero non avere più assonanza. Il vecchio principio – tutt'ora in vigore in gran parte degli ordinamenti giuridici nazionali – per cui la madre è colei che partorisce perde pregnanza in un contesto che preferisce vedere la donna gravida come locandiera. Alla partoriente si sostituisce la «pancia in affitto.»
Parlare di pance «in affitto» rimanda a diritti di possesso e alienazione. Perché mai una donna non dovrebbe affittare ciò che comunque le appartiene? L'affitto non è una vendita: l'utero torna indietro. E poiché la bimba che nascerà non era mai della locandiera, del suo status di oggetto di scambio non abbiamo motivo di preoccuparci. Parlare d'affitto centra l'attenzione laddove il mercato vuole che rimanga: sul luogo anziché sulla persona che, per cosi' dire, l'alberga. Le femministe (mie amiche) che tanto si preoccupano delle rappresentazioni vittimiste delle donne ogni qualvolta si parla di limitare le pratiche d'infibulazione farebbero bene a notare la passività implicita nell'immagine della locandiera uterina. Stipulato il contratto, la donna non c'entra più: sarebbe l'utero a svolgere magicamente il lavoro di (ri)produzione. Le condizioni tipicamente imposte alle gestanti – niente alcool, niente fumo, niente comportamento «pericoloso» -- equivarrebbero semplicemente a quelle clausole nei contratti d'affitto che vietano al padrone di casa di usare la propria chiave per entrare e fare danni. Siamo forse passate da «noi e il nostro corpo» a «noi e la nostra proprietà immobiliare?»
Viene da chiedersi se la logica della riproduzione surrogata implica il superamento della genitoralita' biologica. Ovocita+spermatozoo+utero=bambino: ciascuna componente ha un suo «fornitore.» La filiazione vera diviene allora prettamente sociale. E' evidente che i genitori sociali – ovvero, coloro il cui status deriva da percorsi prettamente affettivi ed istituzionali – sono genitori. Ma come vogliamo trattare le donne che «producono» bambini? Per alcuni, sono lavoratrici e dovrebbero essere protette come tali: il servizio che forniscono non differisce sostanzialmente da qualsiasi altro lavoro fisico. Occorre perciò assicurarle un salario giusto, garanzie contro i rischi del lavoro, contratti legalmente validi. Il fatto che la retribuzione offerta ad una «pancia» può equivalere a molte volte il reddito altrimenti perseguibile rafforza la percezione che affittare l'utero rappresenta una scelta economicamente razionale da non sottoporre a moralismi indebiti. Al contrario, dare lavora a chi ne ha bisogno appare come una scelta solidaristica iscritta in uno scambio equo.
Per altri, le «pance» sono gestanti come tante donne che finiscono per rinunciare ai propri figli. La gestante su commissione appare allora paragonabile alle madre che cede il proprio figlio in adozione. Essa dovrebbe godere quantomeno dei diritti assegnati a chi da in adozione il proprio figlio, in particolare dovrebbe potere contare su un periodo – limitato – in cui decidere se tornare indietro sulla promessa iniziale di consegnare il neonato. La situazione qui si complica, perché spesso lo spermatozoo e' stato fornito dal marito della coppia committente: alcune famose sentenze giudiziarie hanno quindi individuato il padre nel committente e la madre nella partoriente, decidendo poi a chi assegnare i diritti di convivenza in base al – vago ma universalmente invocato – principio del migliore interesse del bambino. Certo, non è una soluzione che risolve le tensioni del mercato della riproduzione su commessa.
Se la partoriente fornisce un servizio come altri, potremmo desumerne che il prodotto della sua manifattura è una merce come altre – che si può legittimamente comperare e vendere. Se la partoriente è una madre, allora il figlio è «suo» ed è figlio, soggetto ai divieti contro la mercificazione umana che è propria di quasi tutti gli ordinamenti che hanno abolito la schiavitù. Legislatori e tribunali dall'Australia alle Uzbekistan si sono posti o si stanno ponendo queste domande. Arrivare ad un coordinamento internazionale sembra indispensabile. Negare la realtà del mercato corrisponde a nascondere la testa nella sabbia: prima o poi, occorrerà far fronte a ciò che sta accadendo. Adottare un atteggiamento puramente punitivo, criminalizzando la riproduzione surrogata, non potrà che aumentare evasioni della legge, sfruttamento, e ricatto. Ma ciò non significa che sia accettabile la mercificazione di donne e bambini implicita nella riproduzione su commessa. C'era una volta uno slogan: non più macchine per la riproduzione ma donne in lotta per la liberazione. Ce lo ricordiamo forse in poche, con tenerezza nonché un vago brivido di paura di fronte ad una «liberazione» che rinvia ad ideologie ormai messe da parte. Ma vogliamo chiederci se davvero dobbiamo essere complici in questa nuova edizione di «macchine di riproduzione».
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